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Esiste il vino SENZA solfiti?

Esiste il vino SENZA solfiti?

Elena Della Rosa

“Vino senza solfiti aggiunti” quante volte l’avete sentito dire?

Innanzitutto bisogna sapere che i solfiti sono conservanti e anche se qualcuno li considera peggio del diavolo, hanno uno scopo antiossidante, antibiotico e antisettico.  Ogni tanto qualcuno mi dice: “Sono ALLERGICO ai solfiti, mi sapresti indicare bottiglie che non ne contengono?” La risposta alla domanda: Esiste il vino senza solfiti? È no.

“Ma cosa dici? Ma non dire cavolate! E quella scritta sulle etichette che ne dichiara l’assenza?”

Leggiamola bene, dice: Non contiene solfiti AGGIUNTI. Cosa vuol dire?

Vino senza solfiti

Vuol dire che il produttore non ha impiegato anidride solforosa (diossido di zolfo) nel trattamento del mosto e dei vini. Questo non vuol dire che il vino contenuto nel vostro bicchiere sia privo totalmente di solfiti. Non è una truffa, state tranquilli. Dovete sapere, e molti di voi certamente lo sapranno, che i lieviti in fermentazione producono SO2. Ma state tranquilli, questa produzione è veramente esigua! Sono dell’idea che non si debba esagerare nell’aggiunta di conservanti, ma non bisogna nemmeno cadere nell’errore contrario di rinnegarli in nome di un vago concetto di naturalità.

I solfiti e un po’ di storia: se ne parlava già nell’800.

La diffusione dell’impiego dell’anidride solforosa nella produzione di vino risale alla fine del XVIII secolo. Il testo di enologia teorico-pratica scritto nel 1882 dall’enologo Ottavio Ottavi recita così:

“Si deve o non si deve usare lo Zolfo quando si travasa? Noi ci regoliamo a riguardo nel seguente modo, e ne siamo pienamente soddisfatti: se il vino è sano, se è limpido, se è robusto, spiritoso ecc. e se non ha odor di zolfo allora non solforiamo mai, né alla svinatura, né all’atto dei travasamenti; otteniamo così una bevanda sopraffina per squisitezza di sapore, il quale non subisce l’impuro contatto del fumo di zolfo. Ma purtroppo pochi vini possono essere trattarsi con tanta semplicità: generalmente invece converrà solforare le botti, locchè però si dovrà fare con moderazione per non recare nocumento al sapore ed al colore della nostra preziosa bevanda.”

Il brano prosegue indicando le quantità consigliate.  Trovo questo testo affascinante e incredibilmente chiaro. Sono passati circa 150 anni dalla stesura di questo libro, ma le indicazioni fornite sono assolutamente attuali. Qual è la principale informazione che ne traiamo?

Per evitare o ridurre al minimo l’utilizzo dei solfiti è basilare e necessario che il materiale di partenza sia in ottime condizioni fitosanitarie.  Possiamo quindi intuire che la decisione debba essere presa valutando la situazione di volta in volta.

Solfiti sì o solfiti no?

In presenza di un vino sano il momento migliore per intervenire con la solforosa è prima di imbottigliare, così il prodotto supera il piccolo trauma dovuto al contatto con l’aria e può viaggiare per il mondo al riparo da danni irreparabili. Questo che avete appena letto è un passaggio dal libro di Sandro Sangiorgi.

Sangiorgi continua dicendo che si possono produrre grandi vini senza solforosa, ma non ricorrervi non può essere l’alibi per mettere in commercio prodotti con difetti facilmente risolvibili con l’aiuto di una dose moderata. La sua posizione si può dire non si distanzi da quella di Ottavio Ottavi tenuta nell’800. Si parla spesso dei solfiti che fanno male, ma potrei raccontarti di bevute “naturali” finite con ore ed ore passate in bagno.

A cosa serve l’anidride solforosa?

L’anidride solforosa (o diossido di zolfo) con le sue numerose qualità è uno strumento indispensabile in cantina. So che qualcuno non vorrebbe sentirlo dire, ma è così. Alcuni vini come abbiamo visto possono essere vinificati in assenza di SO2, ma assolutamente non si può dire che ogni tipo di vino possa percorrere questa strada.

Le principali qualità del diossido di zolfo

Come dicevamo l’anidride solforosa ha svariate proprietà:

  • Antisettiche: inibisce lo sviluppo dei microrganismi. La sua attività è maggiore nei confronti dei batteri che dei lieviti. A dosi basse l’inibizione è transitoria, mentre dosi elevate provocano la distruzione di una certa percentuale della popolazione microbica. Durante la conservazione, l’anidride solforosa si oppone allo sviluppo di tutti i microrganismi (lieviti, batteri lattici e in misura minore batteri acetici) ed evita, in questo modo, la formazione di intorbidimenti dovuti alla presenza di lieviti, la rifermentazione dei vini dolci, lo sviluppo dei Brettanomyces e la formazione di etilfenoli, lo sviluppo dei lieviti filmogeni (fioretta) e le diverse alterazioni di origine batterica.
  • Antiossidanti: consente di proteggere i vini dall’ossidazione di natura chimica. Preserva i vini da una eccessiva ossidazione dei composti fenolici e di alcune sostanze aromatiche; previene la maderizzazione, contribuisce a mantenere un livello di ossidoriduzione sufficientemente basso, favorevole all’evoluzione delle caratteristiche sensoriali durante la conservazione e l’invecchiamento.
  • Antiossidasiche: inibisce istantaneamente l’azione degli enzimi ossidasici e, se necessario, ne consente la successiva distruzione. Attraverso questo meccanismo protegge i mosti dall’ossidazione, prima dell’avvio della fermentazione. Evita anche la comparsa della casse ossidasica nei vini bianchi e nei vini rossi ottenuti da uve botritizzate.

Tra le altre funzioni, l’anidride solforosa protegge l’aroma dei vini e elimina la nota di svanito.

(Queste informazioni sono tratte dal trattato di enologia 1 di Ribéreau-Gayon, Dubourdieu, Donèche, Lonvaud)

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