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Trebotti: nella Tuscia una vera storia di sostenibilità

Trebotti: nella Tuscia una vera storia di sostenibilità

Elena Della Rosa
Ludovico Maria Botti, dell'azienda agricola Trebotti consigliere nazionale della Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti FIVI

Quante volte sentiamo parlare di sostenibilità, di agricoltura e vini sostenibili? L’abbiamo sentita nominare così tante volte e così spesso slegata dai fatti, che ormai, quando leggiamo questa parola, ci sembra quasi priva di corpo, ci sembra di bere un vinello leggero e annacquato.  Ecco, nella Tuscia, a Castiglione in Teverina, l’ultimo comune del Lazio prima dell’Umbria, troviamo una realtà che ha ridato spessore al termine sostenibile. Siamo immersi in un paesaggio mozzafiato, non distante da Orvieto e dal Lago di Bolsena. Dalla cantina si vede l’Oasi di Alviano, ottocento ettari di zona incontaminata, il bosco, e distese di vigneti dalle pendenze decisamente impegnative. 

Ecco, mi sono recata qui per intervistare Ludovico Maria Botti, vignaiolo e proprietario (insieme ai due fratelli) dell’azienda biologica Trebotti. Capire cosa riportarvi delle quasi quattro ore di chiacchierata è stata dura (veramente molti i passaggi interessanti), spero che la mia scelta vi possa essere utile per conoscere non solo l’azienda, ma anche il territorio, lo stato attuale dei vini del Lazio e soprattutto alcune pratiche virtuose che dovrebbero diffondersi e da cui prendere spunto per raccontare la sostenibilità.

Vista dalla cantina Trebotti, nella Tuscia.

Produrre vino artigianale senza tornare indietro, ma guardando al futuro e alle nuove scoperte tecnologiche. Mi sembra di capire che la filosofia di Trebotti sia questa…

C’è un’errata concezione nei confronti del biologico, dei vini a basso intervento: non vuol dire tornare al passato, ma è invece grande innovazione. Spesso chi passa dal convenzionale al biologico dice “non uso più prodotti chimici, uso prodotti naturali e ho fatto”, no, bisogna cambiare proprio concezione di gestione dal punto di vista agronomico, tecnico, bisogna essere molto più preparati, trovare soluzioni innovative per seguire la vita della pianta ipogea ed epigea. Noi abbiamo fatto quindici anni fa la mappa 3D del filare e delle radici delle piante. Con l’aiuto dello scanner e di algoritmi vedi la parte epigea, la chioma come è sviluppata e capisci se c’è un problema anche sotto, alle radici. Questa tecnologia ti permette di fare veramente viticoltura di precisione. Abbiamo dovuto abbandonare il progetto solo perché la persona con cui lo stavamo sviluppando è andata a fare il docente all’estero. Al momento si parla molto, si discute su questa agricoltura di precisione ma di cose applicate ce ne sono veramente poche.

Quali innovazioni state introducendo e cosa fate in pratica per dichiararvi sostenibili?

Per quanto riguarda la sostenibilità abbiamo tanti progetti ad esempio uno riguarda l’acqua e uno l’aria

Quello dell’acqua è semplice. Noi in Italia diciamo che per fare un litro di vino servono dieci litri di acqua (gli ultimi studi del 2019 rilevano 34 litri di acqua potabile per un litro di vino prodotto). Usiamo tanta acqua per lavare, uno spreco d’acqua enorme. Fino al 2012 usavamo sei litri d’acqua per un litro di vino prodotto, poi abbiamo creato con l’Università della Tuscia e il sant’Anna di Pisa un progetto per raccogliere le acque piovane del piazzale, le acque di lavaggio della cantina più i sanitari, che vengono convogliate in un punto dove c’è un impianto che depura le acque con le phragmites che sono le canne di palude che si possono vedere in tutti i nostri fossi e che abbiamo trapiantato semplicemente in un letto di ghiaia dove scorre piano piano l’acqua. I microrganismi e le piante puliscono l’acqua che va a finire in un biolago profondo quattro metri, dove viene raccolta e tenuta pulita sempre con la fitodepurazione.

L’altro progetto riguarda l’aria. Si tratta di una pompa d’aria. Per termoregolare una cantina di seicento metri quadri di queste dimensioni fuori terra avremmo bisogno di 30 kW di energia, noi usiamo 1 kW grazie al fatto che la cantina l’abbiamo costruita scavando la collina e grazie a questa pompa d’aria che nelle “stagioni normali” spinge in estate di notte l’aria fresca dentro e in inverno fa il contrario portando dentro aria calda. Questo è stato valido fino all’annata 2022 che ha avuto un luglio con la minima di 28° per venti giorni e questo sistema non ha più funzionato. I cambiamenti climatici causano anche queste situazioni.

Immagine che rappresenta una pompa d'acqua che l'azienda agricola Trebotti utilizza come mezzo di sostenibilità

 

Oltre questi progetti abbiamo tanti altri accorgimenti (Ludovico mi accompagna davanti a un trattore minuscolo). A volte gli agricoltori giocano a “chi ce l’ha più grosso” il trattore, ma a volte piccolo è bello. Questo è un trattorino tosaerba che ha un metro di lama sotto. Oltre a consumare molto meno e a essere molto leggero – quindi a non schiacciare il terreno – ha un altro vantaggio fondamentale: riesce a passare a due, tre centimetri dalla pianta e a tagliare il 95% dell’erba del filare, quindi non serve poi ripassare per scavallare il filare, si fanno quattro passaggi invece che otto e avendo il baricentro basso è impossibile da capottare, riesce ad andare al 40% di pendenza e riesce a tagliare rami fino a 5 cm di diametro. Facciamo tutto con questo, ma abbiamo in cantiere un altro progetto: un Rover a guida autonoma, elettrico, cingolato che fa lo stesso da solo senza personale. Immagina che potrebbe trasformare il vigneto in un giardino svizzero, perché potrebbe andare quando gli pare, giorno e notte senza i problemi dovuti alla stanchezza o all’assenza di tempo. Poi non farà solo questo, ci sono molte altre cose più interessanti tra i suoi compiti, però non ne voglio parlare ancora. Voglio prima realizzarle. 

L'immagine rappresenta un piccolo e leggero trattore tosaerba utilizzato dall'azienda agricola Trebotti

Nel nostro oliveto, per esempio, non entra un trattore da 17 anni (hanno 250 piante di olivo e producono anche olio extravergine di oliva).  Ci pensa la nostra asina Jane, entra nell’oliveto e lo pulisce dalle erbacce, lo concima lasciando letame. Appena finita l’erba la spostiamo e pulisce altri terreni. Copre circa tre ettari di terreno e produce 1200 chili di letame all’anno (li abbiamo misurati per un progetto). Vuole solo acqua e coccole. 

Con il letame che fa da starter poi, e con tutti gli scarti dell’azienda (vinacce, raspi, le potature del vigneto e dell’oliveto) facciamo il compost che usiamo come pacciamante e ammendante sotto la fila del vigneto per non far crescere le infestanti: è nero quindi aumenta la temperatura basale dei grappoli facendoli asciugare prima, facendoli così maturare prima e con più antociani.

Noi lavoriamo poi per gravità, buttiamo l’uva nella pigiadiraspatrice e con un tubo che scende da sopra riempiamo i serbatoi per gravità. Questo ha un vantaggio economico perché le pompe consumano tanto, ma soprattutto le pompe pompano il mosto dentro i serbatoi, schiacciano i vinaccioli ed estraendo tannini amari, mentre questo è un sistema molto più soffice, delicato per fare la pigiatura.

 

L'immagine rappresenta un'asina di nome Jane dell'azienda agricola Trebotti

Rimanendo sul tema della sostenibilità, leggo sulla vostra etichetta parlante “Carbon Neutral”, mi racconti di cosa si tratta?

Nel 2012 abbiamo installato nel vigneto di violone (biotipo del Montepulciano d’Abruzzo della Tuscia) un macchinario che si chiama Eddy Covariance, un macchinario che ha creato il Professor Riccardo Valentini dell’Università della Tuscia per studiare gli scambi gassosi dalla Siberia all’Amazzonia grazie a cui, insieme alla IPCC, ha vinto il Premio Nobel. Per un anno abbiamo misurato le emissioni di un vigneto. Non molti sanno che la produzione di cibo e il sistema alimentare causa il 42% delle emissioni globali. Come vengono coltivate le vigne e prodotto il vino, come viene prodotto il cibo ha un impatto notevole sui cambiamenti climatici, quindi come gestisci il vigneto, la bottiglia, il vino, tutto quanto può aumentare le tue emissioni o assorbirle perché l’agricoltura, le foreste e il mare sono gli unici elementi che possono anche assorbire CO2 stoccando carbonio nel suolo attraverso le piante e i microrganismi. Quindi, in base a come gestisci il terreno, le piante, la potatura ecc. puoi migliorare l’assorbimento. Noi dal 2012 abbiamo iniziato a fare l’LCA  (Life Cycle Assessment) per fare il bilancio del carbonio delle nostre bottiglie. Siamo tra i primi ad avere avviato questi studi. Il macchinario del Professor Valentini ci è servito proprio per misurare veramente per la prima volta al mondo qual era l’emissione di un vigneto perché prima si faceva solo su dati statistici. Nel 2019 siamo diventati tra i primi vignaioli Carbon Neutral del Mondo e oggi siamo diventati Carbon Negative, cioè assorbiamo più CO2 di quanta ne emettiamo. Nel 2019, nonostante fossimo Carbon Neutral, avevamo comunque ancora dei fattori di emissione: il primo era l’energia elettrica – il 30% delle nostre emissioni erano dovute a Enel da cui l’acquistavamo; il secondo era il gasolio agricolo – per un’azienda biologica tagliare l’erba è uno dei maggiori costi, ci vuole tempo, gasolio e trattoristi specializzati perché in collina la prima causa di morte in agricoltura è il cappottamento del trattore, e il terzo era il vetro, la produzione di vetro è una produzione energivora incredibile, in più per trasportarlo in Europa usiamo solo camion. La qualità del vino non dipende dal peso della bottiglia.

Esistono incentivi per chi riduce le emissioni di Carbonio?

È una cosa nuova, in Europa se ne parla. Noi abbiamo un’azienda con cui stiamo collaborando. Sono 12 anni che stiamo aspettando questi incentivi perché di crediti di carbonio in agricoltura si parla da tantissimo tempo. Sembra che adesso sia maturo il momento.

Politica, vino e comunicazione. Quanto ha inciso la politica sui vini del Lazio e cosa ne pensi riguardo a questa frase “I vini del Lazio rimarranno sempre i vini del Lazio”?

Chi lo ha detto si sbaglia, per fortuna. Ognuno chiaramente può avere la propria opinione ma i vini della regione stanno crescendo tantissimo. C’è un preconcetto che risale ancora agli anni ’80, ’90 legato agli imbottigliatori che producevano grandissime quantità a basso costo. È nata così la nomea di vino da osteria e di basso livello. Dal punto di vista politico sembra che si stia muovendo qualcosa, abbiamo visto da parte della Regione disponibilità ad ascoltare, poi chiaramente staremo a vedere se si inizierà anche a fare. Sono due cose diverse. Dal punto di vista della comunicazione la differenza potrebbe farla l’unione tra i produttori, come sai già, ci stiamo muovendo. C’è un fermento nuovo, non so perché. Si è capito che bisogna collaborare e non si può andare da soli, perché da soli non si va da nessuna parte. Come consigliere nazionale della Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti FIVI rappresentiamo più di 1700 vignaioli, e da anni svolgo molta attività di confronto con le istituzioni a livello europeo, italiano. Insieme al delegato regionale Antonio Cosmi e ad altri colleghi vignaioli anche a livello regionale, stiamo cercando di incidere maggiormente sulle scelte che la politica fa per lo sviluppo del nostro settore.

 

Nell'immagine Ludovico Maria Botti nella sua azienda agricola Trebotti. Consigliere Nazionale FIVI

Chi per te sta aiutando la realizzazione di questo cambiamento? Fammi i nomi!

Innanzitutto, i vignaioli stessi, che non comprando masse in giro, non facendo un lavoro industriale hanno (abbiamo) negli anni seminato bene, creato rapporti e creato dei grandi vini. Ti faccio l’esempio di Sergio Mottura, che ha fatto un lavoro egregio nella zona, un altro è Marco Carpineti che è stato uno dei primi a sbattersi per entrare nelle carte. A livello di comunicazione Carlo Zucchetti.  Mi dispiace dire che da questo punto di vista, nel Lazio non ci sono molti nomi che hanno contribuito a migliorare la nostra percezione all’esterno. Noi abbiamo la fortuna di avere le guide nazionali a Roma, ma non hanno mai parlato bene di noi, anzi, hanno sempre sottolineato il nostro essere slegati. Non c’è stato un lavoro di squadra. Forse anche per un demerito nostro, non so, se fossimo stati più uniti anche il racconto da parte loro sarebbe stato diverso. Siete chiamati in causa anche voi di AIS! (dice ridendo).

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Primo piano di Jacopo Manni, ricercatore universitario e divulgatore nel settore vino.

Marco Carpineti è stato uno dei primi a “sbattersi” per entrare nelle carte. Come sta cambiando il rapporto dei ristoratori con i vini del Lazio?

Negli ultimi dieci anni è cambiato molto, ma non ci siamo ancora però. Essendo Roma tra i primi mercati del vino in europa è attaccato da tutti quelli che vogliono starci per forza dentro, è cosmopolita e quindi c’è una competizione maggiore e la politica negli ultimi 30 anni (per ritornare alla domanda precedente) ha fatto poco e niente per aiutare i produttori locali a inserirsi.  Nella Tuscia, quando ho iniziato vent’anni fa, se entravi con un vino del Lazio la risposta era: “No, ti prego toglilo, via, vai via!”  adesso non è più così, siamo presenti nelle carte dei vini, ma non ancora come dovremmo perché questa nomea del vino del Lazio di cui parlavamo prima, di un vino poco rinomato,  è dura da far morire. Dal punto di vista qualitativo ci siamo, e abbiamo anche una capacità notevole dal punto di vista del prezzo, ma è ancora la comunicazione il problema.

Visto che la comunicazione ancora difetta, parlami un po’ tu di questo territorio. Cosa lo rende speciale?

Innanzitutto, è un territorio vulcanico. Noi facciamo parte dell’Associazione Volcanic Wines che raccoglie produttori di tutto il mondo (Ludovico indica una parete all’interno della tomba etrusca dove fanno maturare il loro spumante Metodo Classico Ancestrale di Incrocio Manzoni. Il loro vino più noto) Questa è l’esplosione del Bolsena, il lago vulcanico più grande d’Europa. Questa parete ci dimostra che siamo su terreni vulcanici anche abbastanza giovani. Nel Lazio siamo per metà vulcanici e questa parete è la prova tangibile. Questa mineralità, questa ricchezza di microelementi si ritrova in tutti i nostri vini. Questo sicuramente è un vantaggio competitivo che abbiamo. Dà complessità ai vini. Abbiamo fatto la settimana scorsa una verticale di Grechetto Bianco dalla 2006 alla 2022 per vedere l’evoluzione: bianchi che possono invecchiare così si possono produrre in pochi posti. Questa parte della Tuscia, compreso Orvieto, è uno dei punti di elezione al mondo che bisogna far conoscere, perché non ha nulla da invidiare ad altri posti famosi. Ci sono vini con trent’anni sulle spalle fantastici. 

In più, in questa zona ci sono circa novanta cantine, aziende medio piccole, che si devono confrontare sul mercato, questo ha fatto sì che la qualità del vino sia cresciuta molto più in fretta che in altre aree. Si impara gli uni dagli altri e si cresce.

L'immagine rappresenta il sottosuolo vulcanico nella zona di Bolsena nell'azienda agricola Trebotti

Chi consiglieresti di andare a trovare nella zona?

Andrea Occhipinti, è un mio compagno di università, durante gli studi l’ho coinvolto nella tesi di laurea facendogli scoprire  Gradoli, è per colpa mia se ha l’azienda là. Antica Cantina Leonardi, Stefanoni, poi consiglio una nuova azienda, sono due ragazzi,  Monti della Moma. Antonella Pacchiarotti, La Pazzaglia che sta qui accanto a noi, Doganieri Miyazaki, Sergio Mottura

Azienda agricola Trebotti, all'interno della zona di degustazione. L'immagine rappresenta uno scorcio delle bottiglie di vino con Ludovico Maria Botti sullo sfondo

Se mi dovessi dire una caratteristica di questo territorio che si può riconoscere nei vini?

Se parliamo di microzone queste colline hanno meno piovosità, sono terreni vulcanici che si mischiano con la Valle del Tevere, abbiamo quindi terreni vulcanici e alluvionali, che fanno sì che le espressioni dei vini siano molto ricche e potenti. Sono vini che erroneamente sono stati venduti sempre troppo giovani, hanno invece bisogno di una grande evoluzione in bottiglia per poter essere messi sul mercato, e ancora non abbiamo il coraggio e la forza commerciale per farlo adeguatamente ma ci stiamo arrivando. Hanno però grande carattere e complessità che si sviluppano col tempo. Non sono vini da bere giovani, freschi, non hanno queste caratteristiche.

E su questa ultima nota dei vini vi lascio con alcune personali annotazioni su carta riguardo alla degustazione, di cui vi parlerò sul mio canale Instagram

Immagine della tovaglietta dell'azienda agricola Trebotti su cui sono annotate gli appunti di degustazione dei loro vini

 

 

 

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