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Fare parte di qualcosa di più grande: il Lazio di Marco Marrocco e Palazzo Tronconi.

Fare parte di qualcosa di più grande: il Lazio di Marco Marrocco e Palazzo Tronconi.

Elena Della Rosa
Foto del vignaiolo Marco Marrocco della cantina Palazzo Tronconi su sfondo bianco.

Continuiamo il nostro approfondimento sul territorio laziale parlando con i protagonisti di questa regione. Oggi è la volta di Marco Marrocco di Palazzo Tronconi. Quando ho conosciuto Marco ho pensato: “E’ un pazzo” e oggi, a distanza di tempo lo confermo! Nell’ultima intervista fatta a Jacopo Manni, Jacopo descrive quella di Marco come una “follia gentile”, allora ho voluto partire proprio da qui.

Una “follia gentile”. Cosa vuol dire essere dei folli gentili inerentemente alla vigna, alla cantina e alle relazioni commerciali?

Essere descritti come folli gentili da parte di Jacopo Manni è un complimento che apprezzo profondamente. Per me, questa definizione riflette la scelta di abbandonare una laurea in ingegneria per dedicarmi completamente alla cantina e al mondo del vino. Questa decisione potrebbe sembrare folle agli occhi di alcuni, ma è stata guidata da una passione ardente e da una determinazione incrollabile nel perseguire un sogno. La follia di cui parla Manni forse è l’audacia nel lasciare una carriera sicura per intraprendere un percorso incerto, ma ricco di significato. Non è stata una decisione facile, ma sono grato di aver avuto il coraggio di seguirla. Dall’altra parte, il termine gentile lo collego al rispetto e alla considerazione che provo nei confronti dei miei colleghi e delle persone con cui ho lavorato nel settore del vino. Nonostante le differenze di opinione e di approccio, penso vada mantenuto un atteggiamento aperto e rispettoso, riconoscendo il valore delle diverse prospettive e imparando dagli altri. Questo modo di vivere e di agire mi ha permesso di crescere sia come professionista del vino che, soprattutto, come individuo.

Raccontami il tuo percorso in questo settore.

È stato un viaggio coinvolgente che mi ha portato dall’ingegneria meccanica al mondo affascinante dell’enologia. Nel 2007 ho preso la decisione di acquistare un appartamento nel suggestivo Palazzo Tronconi, nel centro storico di Arce. Questa scelta ha segnato l’inizio di una nuova fase della mia vita. Dopo aver trascorso dieci anni nel settore ascensoristico, ho sentito il bisogno di esplorare nuovi orizzonti. Ho seguito un corso da sommelier che ha acceso in me una passione profonda per il vino. Ero determinato a coltivare questa passione. Ho così deciso di tornare a scuola e laurearmi in enologia nel 2014. La ricerca di radici mi ha portato a esplorare la contrada Tramonti, il luogo d’origine della mia famiglia. Qui, nel febbraio del 2011, ho piantato il mio primo vigneto, recuperando antiche varietà di uve come il Lecinaro, il Panpanaro, il Maturano, il Capolongo e il Raspato, che un tempo popolavano l’alta media valle del Liri ma erano sconosciute al catasto viticolo fino al 2009. Attualmente, la mia azienda si estende su circa 33 ettari, di cui 14,5 dedicati al vigneto e 6,5 all’oliveto. L’azienda non si limita alla produzione di vino, ma si occupa anche dell’allevamento di galline, polli e dell’apicultura. Il mio percorso è un viaggio di scoperta e apprendimento continuo tra le infinite sfaccettature del mondo del vino e della produzione agricola.

Una veduta serale della cantina Palazzo Tronconi di Marco Marrocco.

Lecinaro, Panpanaro, Maturano, Capolongo e Raspato. Sei famoso in regione per aver riportato alla luce questi vitigni quasi scomparsi.  Cosa ti ha spinto a farlo? Quali sono i lati in luce e in ombra di questa scelta? Come interpretano il territorio ognuno di questi vitigni?

Sono stato spinto da una serie di motivazioni varie e profonde. Inizialmente ero incline a piantare varietà internazionali, seguendo la tendenza dominante nel settore vinicolo. Tuttavia, un incontro casuale con il professor Gaetano Ciolfi, direttore dell’Istituto Sperimentale di Enologia di Velletri, mi ha aperto gli occhi su un tesoro nascosto nel nostro territorio. Gaetano aveva dedicato nove anni della sua vita a registrare queste antiche varietà, testimoni del passato vitivinicolo della Valle del Liri. La mia decisione di riproporle è stata guidata dal legame profondo con questo territorio e dalla consapevolezza del potenziale di mercato. Ho abbracciato questa sfida, catturato dall’idea di riportare alla luce, preservare e valorizzare il nostro patrimonio vitivinicolo. Tuttavia, devo ammettere che c’era anche, come precedentemente affermato, un elemento di marketing dietro questa scelta, perché sapevo che la rarità e l’autenticità di queste varietà avrebbero potuto distinguere i miei vini sul mercato. Ho avuto il privilegio di contribuire alla conservazione di varietà uniche e storiche, preservando la biodiversità vitivinicola, e l’opportunità di offrire agli appassionati esperienze di degustazione autentiche e ricche di storia, portando alla luce il carattere distintivo del nostro territorio. Tuttavia, non posso ignorare gli aspetti in ombra di questa scelta. La produzione di queste varietà richiede una cura particolare e spesso comporta rendimenti inferiori rispetto alle varietà più diffuse, rendendo il processo più impegnativo e meno redditizio. Inoltre, la limitata familiarità del pubblico con questi vitigni può rappresentare una sfida nella commercializzazione dei miei vini. Interpretare il territorio attraverso ognuno di questi vitigni è però parte del viaggio affascinante di cui ti parlavo. Il Lecinaro, con la sua eleganza e struttura, incarna la forza e l’unicità del paesaggio collinare della Valle del Liri. Il Maturano, con la sua acidità vivace e la sua mineralità distintiva, riflette la freschezza dei venti che soffiano attraverso le valli. Il Pampanaro, con i suoi profumi intensi e la sua complessità aromatica, evoca i frutteti in fiore che punteggiano il territorio. Infine, il Capolongo, con la sua robustezza e la sua profondità, rappresenta la resilienza e la determinazione dei viticoltori che hanno plasmato questo areale attraverso generazioni. Ognuno di questi vitigni racconta una storia unica del nostro territorio, arricchendo il panorama vitivinicolo con la sua autenticità e la sua bellezza intrinseca.

Una mano che in vigna afferra un grappolo di uva bianca nel Lazio. Palazzo Tronconi di Marco Marrocco.

Un legame profondo con questo territorio in cui sei cresciuto, vivi e lavori. Sono convinta che il nostro rapporto con il “luogo” influenzi le nostre scelte. Mi racconti della tua relazione con questo paesaggio?

È profonda e intima, intrisa di sentimenti di affetto e nostalgia. La mia contrada, conosciuta come Tramonti, non è solo un luogo geografico, ma un luogo carico di significati personali e storici. È il luogo dove ho trascorso i momenti più felici della mia infanzia, immerso nella natura incontaminata e circondato dall’amore dei miei nonni e degli amici di sempre. Il legame con questo territorio va oltre il semplice contesto lavorativo; è un legame emotivo che permea ogni azione e decisione. Ogni giorno, mentre lavoro tra le vigne e assaggio i frutti della mia terra, sento di essere parte di qualcosa di più grande, di una storia millenaria che si intreccia con la mia vita e la mia identità. Il legame con questo territorio va al di là delle considerazioni puramente economiche o produttive; è un legame emotivo e spirituale che nutre l’anima e mi ricorda costantemente le mie radici e la mia identità. Tramonti è il mio rifugio.

Paesaggio di un vigneto con le rose. Lazio. Cantina Palazzo Tronconi di Marco Marrocco.

“Essere parte di qualcosa di più grande”. Mi fai venire in mente la biodinamica, una pratica molto discussa che tu hai deciso di seguire. Perché hai intrapreso questa strada, cosa metti in pratica e cosa no del metodo? E poi, cosa trasmette al vino che noi ritroviamo nel bicchiere?

Il rapporto con la biodinamica è nato durante gli studi di enologia nel 2010, quando ho sentito la necessità di trovare alternative alla chimica nell’agricoltura. Dopo aver conosciuto Simone Noro e appreso dai suoi insegnamenti, ho abbracciato subito il punto di vista della biodinamica. Utilizzo questo metodo agricolo nel mio vigneto per permettere al terroir di esprimersi pienamente attraverso le uve e il vino che ne deriva. La sua potenza risiede nella visione olistica dell’azienda agricola come un organismo vivente, composto da diversi elementi interconnessi. Metto in pratica l’uso dei preparati biodinamici e adotto pratiche come la biodiversità, il rispetto del ciclo lunare e la considerazione dell’azienda come un sistema vivente. Tuttavia, non seguo rigidamente tutte le prescrizioni biodinamiche, ma adotto un approccio flessibile in base alle esigenze del mio vigneto e alle condizioni locali. Ciò che rende unico il vino prodotto attraverso questo regime, secondo me ovviamente, è la sua capacità di riflettere appieno il terroir e l’ambiente circostante, trasmettendo un’energia e una vitalità uniche che si riflettono poi nel bicchiere e nell’esperienza di chi lo beve.

L'immagine di una vite e di una pratica di biodinamica nel Lazio. Esattamente nella cantina Palazzo Tronconi di Marco Marrocco.

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Il territorio ha bisogno anche di essere comunicato. Si parla dell’esigenza sempre più incalzante del Lazio vitivinicolo di trovare una nuova identità e un nuovo modo di essere raccontato. Cosa ne pensi a riguardo?

La nostra regione ha un grande potenziale per trovare una nuova identità e per essere comunicata in modo più efficace. Per recuperare il gap accumulatosi nel corso degli anni rispetto alle regioni più rinomate dal punto di vista vitivinicolo, è fondamentale adottare un approccio che stimoli una nuova percezione dei prodotti laziali. Questo passa necessariamente attraverso una comunicazione più ampia e strategica, che coinvolga diversi livelli e contesti. È essenziale promuovere i prodotti laziali a livello internazionale, partecipando alle fiere vinicole più importanti e seguite dal pubblico appassionato di vino. Inoltre, è fondamentale consolidare la presenza sul territorio nazionale, con un occhio di riguardo alla capitale, Roma, che rappresenta un enorme bacino di potenziali consumatori. Roma, con i suoi 80 milioni di turisti annuali, offre opportunità infinite per la vendita e la promozione dei vini della regione. Utilizzare la capitale come cassa di risonanza per il movimento dei vignaioli laziali può essere un passo significativo per rafforzare l’immagine e la reputazione dei vini regionali. In aggiunta a queste strategie, l’importanza della diffusione attraverso i social network non può essere sottovalutata. Con la loro vasta portata e il potenziale di coinvolgimento diretto del pubblico, i social media offrono un canale prezioso per promuovere i nostri vini, condividendo storie coinvolgenti sul territorio, le vigne e i processi di produzione. La creazione di contenuti accattivanti e la comunicazione bidirezionale con gli utenti possono contribuire a creare una comunità di appassionati del vino laziale e aumentare la visibilità e l’apprezzamento dei prodotti regionali.

Cosa consiglieresti quindi ai comunicatori del vino di oggi?

Consiglio vivamente di trascorrere del tempo all’interno di un’azienda vinicola, lavorando a stretto contatto con enologi, agronomi e proprietari. Questa esperienza diretta sul campo è fondamentale per comprendere appieno il mondo del vino, cogliendone le sfumature, le sfide e le complessità. Prima di scrivere o comunicare su qualsiasi argomento, è essenziale aver trascorso del tempo a sporcarsi le mani, per così dire, e acquisire una conoscenza pratica approfondita del processo di produzione, della gestione del vigneto e di tutte le altre dinamiche coinvolte. Solo attraverso questa esperienza sul campo sarà possibile comunicare in modo autentico e accurato, trasmettendo la vera essenza di questo mondo.

Lasciamoci con dei nomi. Chi ha influenzato il tuo lavoro e chi, secondo te, sta contribuendo al cambiamento nel Lazio?

I nomi che hanno influenzato il mio lavoro… È banale se in primis dico mio padre Eleuterio Marrocco? Lo devo ringraziare per aver trasferito in me parte delle sue capacità imprenditoriali. Poi il mio professore di patologia vegetale Gabriele Chilosi, che mi ha insegnato un approccio più sistematico e puntuale sulle malattie crittogamiche; il mio professore di enologia Fabio Mencarelli e Alessandro Dettori, con cui ho avuto confronti importanti, e Gaetano Ciolfi, professore di microbiologia enologica e amico appassionato del territorio. Cito anche Carlo Noro e il suo approccio biodinamico pragmatico che hanno avuto un impatto significativo, spingendomi a sperimentare nuovi metodi agricoli in campo. Inoltre, la lettura e la conoscenza di Nicolas Joly e l’entrata nella congrega di Renaissance des Appellations, hanno contribuito ad arricchire la mia prospettiva sul settore vitivinicolo.

Tra i nomi che ritengo stiano contribuendo al cambiamento della regione, ci sono Giovanni Pica dell’ARSIAL, Paul Pansera e il progetto di Trapizzino e insieme a lui tanti ristoratori romani che hanno giocato un ruolo fondamentale nel contribuire a promuovere i miei vini sul territorio nazionale. Queste persone non solo mi hanno fornito conoscenze e ispirazione, ma la sinergia, la condivisione e il confronto con loro hanno alimentato una crescita continua per me e Palazzo Tronconi.

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