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Le Driadi e il vino nella Val Pontida

Le Driadi e il vino nella Val Pontida

Elena Della Rosa
Le Driadi Luciano e Gabriella

È lì, dove brilla il Sass de la Luna con i suoi cristalli di silice, che nascono le ninfe dei boschi: Le Driadi.

Questa formazione calcareo marnosa mi aveva colpito fin dai tempi degli studi, per questo nome tanto magico che sembrava poter dare vita ai sogni oltre che alla pianta della vite.

Forse, se chiedessimo a Luciano e Gabriella, ci direbbero che ai sogni bisogna credere e lavorarci, e sicuramente essere un po’ folli per inseguirli.

Luciano mi racconta che hanno visto la loro prima vigna per caso nel 2014, in un giorno di primavera pieno di primule: “Percorrendo la strada sterrata nel bosco, in quegli 800 metri ho trovato la mia walk in the wild side” dice, e con la citazione di Lou Reed e di una delle mie canzoni preferite, mi apre uno squarcio sul loro modo di essere.

Quanto incide il carattere di chi fa il vino sul vino stesso? Per me moltissimo, per questo ho bisogno di conoscerli meglio.

In un attimo hanno deciso, si sono adoperati per acquistare quella prima vigna e, biologa lei e ingegnere lui, si sono ritrovati a studiare agronomia, enologia e biodinamica.

Luciano è cresciuto in questa zona (sulle colline ad ovest di Bergamo) dove i genitori si erano trasferiti fino al 1994. È stato l’incontro con questo vigneto abbandonato a riportare la sua vita e quella di sua moglie da queste parti.

Chi fosse interessato a conoscere meglio questa zona dalla storia millenaria, può rivolgersi all’associazione di cui anche Luciano e Gabriella fanno parte: Viticoltori Val Pontida.

I vigneti: territorio, suolo e vitigni.

Le Driadi vino e vigneto

Le Driadi sono proprietari di tre ettari di vigneto in appezzamenti sparsi nei territori che gravitano tra Pontida e Palazzago sulle prime colline delle prealpi orobiche a ovest di Bergamo.

Ci troviamo su suoli calcareo argillosi, con presenza del già citato Sass de la Luna, e “il flysch di Pontida (un vecchio fondo marino) la fa da padrone: è quello che localmente viene chiamato “matù”, o pietra matta, un calcare che si sgretola in superfice”. Luciano mi spiega che il flysch dona al vino molta sapidità.

Le vigne sono quasi tutte recuperate dall’abbandono, sono solo due gli impianti nuovi risalenti al 2019: quello di bronner e di marzemino, quest’ultimo presente in zona già nel passato, eredità della Repubblica di Venezia.

Anche se la Val Pontida non è riconosciuta ufficialmente come zona dalla viticoltura eroica, la pendenza delle vigne non può che farla definire tale. Il primo vigneto da cui sono partiti, un ettaro di merlot, ha il 40% di pendenza.

Mi racconta Luciano che hanno deciso di aumentare i vigneti aziendali nel 2019 conseguentemente a tre grandinate che hanno ridotto la produzione di merlot. Sono arrivate così le altre vigne: cabernet franc, cabernet sauvignon, moscato giallo, malvasia e moscato di Scanzo e una vigna di ottant’anni (quella destinata al rosato rifermentato) che ospita 7 vitigni contemporaneamente: barbera, schiava lombarda, merlot, cabernet, moscato d’Adda, moscato di Scanzo e grisa nera.

In tutto, gli appezzamenti sono 7 con esposizioni varie che toccano tutti i punti cardinali tranne il nord.

L’escursione termica della zona, dominata dal monte Linzone a nord, mi dice Luciano che è una delle ragioni della presenza forte del fruttato tra i sentori dei vini prodotti in questo territorio. Mi piace molto quando un produttore sa raccontarmi in che modo l’ambiente incida sull’esame organolettico di un vino, mi fa capire fino a che punto è consapevole della sua produzione.

Sbirciando in cantina: una piccola produzione di vini genuini.

Le Driadi vino in cantina

Le Driadi, ad oggi, producono 8.000 bottiglie destinate a diventare 12.000. Una piccolissima produzione che permette di seguire tutto il processo in modo artigianale direttamente da Luciano e Gabriella con l’aiuto di qualche collaboratore durante la primavera, quando la vigna diventa troppo impegnativa per due sole persone. Luciano tiene a farmi sapere che anche gli amici rivestono un ruolo fondamentale, amici con cui si confrontano spesso e da cui ricevono supporto. Insomma, dalla vigna alla cantina è tutta una questione di famiglia.

Al momento realizzano cinque etichette, la prima annata uscita nel 2017:

  1. Driade Felice – Merlot affinato in acciaio
  2. Alto della Poiana – Merlot affinato in barriques di rovere
  3. Tilamore – Macerato bianco da moscato, malvasia e bronner
  4. Rosa Fresca Aulentissima – Rosato ancestrale da vigna vecchia
  5. Barlinet – Cabernet franc affinato in castagno

Ne stanno studiando una sesta, e in realtà ogni anno cercano di approfondire un tema, mi hanno accennato ad un esperimento molto interessante con il moscato di Scanzo, ma non aggiungo niente per lasciarvi il piacere della sorpresa.

Le fermentazioni comunque sono tutte spontanee, massima pulizia. Follatura a mano quando possibile, analisi periodiche dei mosti e dei vini con una costante supervisione. Posso affermare che al sorso, questa attenzione si sente. Non hanno nessuna presa di posizione estrema ma, per citare Luciano, hanno “una filosofia minimalista nell’uso di solfiti e nella filtratura che, spesso non facciamo. Un vino che nasce naturale per essere buono e non viceversa, la differenza è sottile, ma sostanziale”

Le Driadi: dalla parte dell’ambiente.

La sostenibilità sta diventando una questione sempre più importante, non solo dal punto di vista commerciale, ma anche e soprattutto per il futuro della nostra comunità. Quando provo un vino e conosco poi la cantina cerco sempre di capire quale sia la gestione aziendale rispetto a questo tema.

Luciano mi racconta che cercano di lavorare la vigna prevalentemente a mano, il trattore viene usato poco e solo per le vigne di merlot e marzemino, le altre sono terrazzate. Stanno riducendo l’uso di zolfo e rame introducendo tannini di castagno, oli essenziali, zeolite come alternative. Hanno stabilito un accordo con moti ristoranti della zona per il riuso delle confezioni di cartone; il consumo di carburante ed elettricità è veramente minimo, e utilizzano le bottiglie di vetro più leggere sul mercato, a discapito solo di un valore estetico della confezione.

Mi vengono però in mente le loro meravigliose etichette e mi vien difficile pensare ad un packaging più bello.

Ambiente e certificazioni: qual è il loro punto di vista?

Hanno la certificazione biologica e riguardo a questa Luciano dice: “Mi ha stupito per lo sbilanciamento per l’attenzione degli aspetti formali della gestione dell’azienda rispetto agli aspetti sostanziali come, ad esempio, l’analisi dei suoli o delle uve” nello stesso tempo afferma che questa certificazione, onerosa per una piccola realtà come la loro, gli ha dato metodo e rigore.

Non hanno ritenuto di dover prendere la certificazione Demeter, ma per la gestione del vigneto applicano comunque i principi Steineriani “l’accenno all’azione di solidarietà degli amici che a volte ci danno una mano è un esempio di quanto siamo steineriani. Steiner diceva che l’organismo azienda dovrebbe essere socialmente integrato nella comunità; le api che abbiamo in ogni vigneto sono un atto coerente con la filosofia steineriana, ma ad esempio abbiamo rinunciato all’utilizzo del cornosilice, secondo me inutile nelle nostre vigne”.  

Da amante della filosofia di Steiner, a cui sono arrivata come molti già sapranno tramite l’arte, posso dire che Le Driadi rappresentano un ottimo modello di questa filosofia.

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Primo piano di Jacopo Manni, ricercatore universitario e divulgatore nel settore vino.

Andando oltre al vino…

Prima di salutare Luciano gli faccio un’ultima domanda: “Cosa tieni a far sapere?”

“Mi piacerebbe che tanti giovani capissero quanto è importante fare cose con passione, determinazione, dedizione, approfondimento per fare qualcosa che ha un riconoscimento sul mercato. Non esistono lavori facili, non esistono lavori senza fatica, ma con la passione non la senti. Mi piacerebbe convincere i giovani a credere nelle proprie passioni, io forse ho aspettato troppo.”

Luciano e Gabriella avranno forse aspettato, lui scherzando si definisce “vignaiolo di tarda generazione” perché hanno cominciato a 45 anni, ma mentre ascolto le sue parole penso che siano un bellissimo esempio da raccontare ai “ragazzi di ogni età”, che da qualche parte ora stanno cercando il coraggio di aprire il cassetto dove hanno chiuso i loro sogni.

Chissà che non troviate il vostro Sass de la Luna come Luciano e Gabriella.

Grazie per questo incontro.

Una mia suggestione su Tilamore

Tilamore Le Driadi Vino

Aromatico e intenso al naso.

Arancia matura, frutta a polpa gialla, sottofondo di fiori di campo e paglia.

È il sole pieno del tramonto quando cala all’orizzonte, e sale al suo posto una brezza leggerissima che porta con sé il profumo delle erbe aromatiche, della salvia.

L’acidità è veramente lieve, è un filo, ma il vino è comunque rinfrescante per via della bella sapidità che spinge il sorso in profondità invece che in verticalità. Abbraccia la bocca. Un sorso dal carattere mite anche se a primo acchito il tannino alza il sopracciglio. Persistente e colorato, ricco di sfumature.

Un finale leggermente amaricante e balsamico, dove vediamo tornare la salvia e gli agrumi.

L’ho abbinato con successo ad uno sformato di patate e cipolle gratinate.

Se vuoi scoprire altre belle realtà italiane vai alle visite in cantina.

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Leggi commenti (2)
  • Ho avuto la possibita di assaggiare il Merlot affinato in barrique ,presso la Corinne, che gestisce il Bad en breakfast a cavetti ,a roncola.vino superbo di gradazione,molto fruttato ,e con sapore di more molto intenso sono rimasto sorpreso dal fatto che a Pontida si riesca a fare del vino di 14gradi.io ero abituato ai dolcetti piemontesi o hai Barbera del Monferrato di 14gradi e mezzo.complimenti !se andate avanti così ,farete dei gran vini…spero di nicchia visto la qualita

    • Ne sono stata molto colpita anche io. Ignoravo da punto di vista viticolo questa zona del bergamasco e sicuramente la conoscenza ora è da approfondire. Vini già di alta qualità e ancora più meritevoli se pensi alla giovane età dell’azienda. Ci vogliono anni per trovare la sintonia “perfetta” con le vigne e il lavoro in cantina. Sono molto curiosa di riprovarli tra qualche anno.

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