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Il Friuli: uno, nessuno, centomila.

Il Friuli: uno, nessuno, centomila.

Elena Della Rosa
Piazza di Cormons con ragazza seduta sulla panchina

Una terra di confine dove il confine è mobile, evanescente, immaginario. Una regione posta all’estremità orientale della nostra cartina e dei nostri pensieri, il Friuli. Ci sei mai stato? Ci sei mai stato in questo paese battuto dal vento, all’incontro tra terra e mare dove il mare sembra essere messo lì apposta per riempire l’aria di sale e iodio e non per andarci a fare il bagno. Le pianure che si aprono e vanno avanti per chilometri senza che l’occhio trovi riposo tra distese di mais e un orizzonte lontanissimo; i colli dolci e boschivi dove la natura più selvaggia sposa la coltura addomesticata della vite in un matrimonio che appare essere felice.

E poi la montagna, come il proseguimento del carattere di chi abita da queste parti, il retroscena di una convivialità che a tratti si percepisce sofferta. A distanza di un secolo sembra di sentire ancora nelle valli l’eco della guerra, nell’aria la parola “attesa” e “ritorno”.

Vento sul monte Sabotino
Monte Sabotino

Accenti differenti, italiano, sloveno, austriaco racchiusi in un’unica persona. Il Friuli è un’invenzione di Pirandello: uno, nessuno, centomila.

Non puoi attraversare la regione illeso nello spirito e forse anche nel corpo, visto i fiumi di vino che scorrono nei calici e la cucina locale gustosa, ricca, calorica e decisamente pesante per il mese di agosto (sicuramente la gente del posto ha la scorza dura, ma come sovente accade, dietro le bucce spesse ci sono cuori pieni di buon succo): io non ho fatto eccezione a questa regola e sono tornata cambiata, in profondità, da qualche parte.

Ogni viaggio è un incontro con gli altri e con sé stessi, o per meglio dire con le innumerevoli sfaccettature della nostra personalità. È stato il vino, che col viaggio condivide questa natura, a fare da conducente in questo percorso tra paesi: il filo d’Arianna in un dedalo infinito di strade e di nomi.

Devi tenere sempre a portata di mano la bussola, l’orologio e le tue convinzioni perché qui è molto facile perdersi.

Il Friuli è la tana del Bianconiglio, dove sopra è sotto e sotto è sopra. È una terra di cappellai matti e lepri marzoline travestite con gli abiti della serietà, del duro lavoro.

Sono arrivata a Cormons con l’idea di fermarmi una notte, ma poi sono diventate due, tre, quattro… perché se parti devi essere libero di lasciarti sorprendere, di fermarti o di continuare il viaggio.

Ho pernottato vicino alla vecchia sede della facoltà di enologia, a Villa Felcaro.

Cormons sembra il cuore del Friuli: tutto è a 15 minuti di strada e ci arrivi per vie che paiono arterie, vene e capillari. L’impressione è di essere all’interno di un organo pulsante e silenzioso.

Quando ti dicono che per conoscere i vini devi conoscere il territorio è vero.

Consorzio Colli Orientali del Friuli
Sede del Consorzio Colli Orientali del Friuli

Prima di partire avevo prenotato una visita al Consorzio dei Colli Orientali. Efficientissimi. Mi rispondono subito confermandomi la data, chi mi scrive è un certo Matteo Bellotto.

Ma vuoi vedere, mi dico, che è lo stesso Matteo Bellotto che ha scritto “Storie di Vino e di Friuli Venezia Giulia”?

Un libro denso e poetico che consiglio agli appassionati di vino, ma non solo.

Ed è proprio lui ad accogliermi in P.zza XXVII maggio, 11 a Corno di Rosazzo.

È stato così affascinante ascoltare i racconti del territorio, assaggiare i vini in quella sede organizzatissima e accogliente in cui si avvicendavano vignaioli, ristoratori e amici, che mi sono fermata lì per tre ore (già, non mi hanno cacciata!)

Vorrei poter riportare pari pari le parole di Matteo e ho impiegato molto tempo a buttare giù questo articolo perché non mi sentivo in grado di scriverlo, non mi sentivo in grado di raccontare un’esperienza così coinvolgente senza correre il rischio di banalizzarla.

“Quanto è inutile un confine quando ci vivi vicino. Eravamo il sud di un impero e ora siamo il nord di una nazione”

Un mosaico di tessere tenute insieme dal collante del vino: “figli della terra più che dei nostri genitori”.

Mi colpisce quando inizia a parlare del silenzio, quel silenzio frastornante che avevo sentito appena scesa dalla macchina pochi giorni prima. Mi dice che il vino ne è il traduttore.

Che bella immagine, penso. 

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Stefano Colasanti, giovane produttore di vino della zona di Rieti. Ampelonauta e viaggiatore di vigne

Dispencer vino consorzio colli orientali del friuli

Sono molti gli assaggi che facciamo, mentre mi spiega che terra e vento sono il papà e la mamma della vite e la proteggono dalla piovosità del posto impedendole di creare marciume.

Difficile riportare tutti i vini provati, mi viene da citare Bruna Flaibani e i suoi 2 ettari coltivati in regime biodinamico.

Il Friuli per me è la patria degli “alchimisti” del vino.

Sull’assaggio di una malvasia istriana Matteo mette su i Pink Floyd. L’esperienza del vino è sinestetica e al consorzio sembrano averlo capito bene.

Ad unire tutti questi vini, alcuni molto diversi tra loro come stile, è forse il sale. O così mi è parso. Una complessità che trascende nella semplicità (e su questo passaggio apparentemente così contraddittorio mi aspetto la risata beffarda). Vini che, come i friulani, “le cose te le dicono una volta soltanto”.

Matteo dice “Io sono un cittadino europeo”, io aggiungo che lo siamo tutti. Siamo cittadini del mondo.

Il viaggio continua verso il Collio, verso gli “alchimisti delle colline” come li chiama nel suo libro Emilio Rigatti, verso vini iconici, nella terra dei macerati: non chiamateli più Orange Wine perché qui il termine è bandito… Ma ve lo racconto nella prossima puntata.

P.S. Vi consiglio di provare i vini di Orlando e Didonè (zona Prepotto)

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